"Notte. Un buio di polvere e stelle che spegne l'arsura del deserto. La carovana lascia scena al bivacco. Gli uomini sono raccolti attorno al fuoco. Hanno mangiato e bevuto. Ora hanno voglia di raccontarsi. Ma vengono da città e paesi diversi. Battezzano le stesse cose con segni e suoni diversi. Adorano e temono dei che si ignorano o si fanno la guerra. Divinità che si mettono in posa in cieli popolati di santi e angeli barocchi e numi inflessibili che scomunicano chi osa ritrarli, si lasciano avvicinare solo dai ricami degli intarsiatori e dei calligrafi, oppure per brevi stagioni hanno acconsentito a specchiarsi nelle algide icone dei libri miniati. Confermando che il conflitto tra figura e astrazione è disputa che va avanti dall'inizio del mondo. Sono viaggiatori divisi anche da barriere di secoli. Perchè il tempo sulle vie della Seta è un movimento circolare e intrecciato di ripetizioni e varianti che conosce solo due dimensioni, come gli arabeschi sulle pareti delle madrase, gli ideogrammi che scandiscono l'altenarsi di dinastie al vertice dell'impero cinese. Palude che genera chimere e fantasmi. Un vortice dove il crociato che ha espugnato Gerusalemme può riapparire accanto al pascia ottomano che marcia su Vienna, i reduci della guerra di Troia al fianco dei mongoli che invadono la Cina, delle truppe di Alessandro Magno che cavalcano di stupore in stupore. Dove Marco Polo può struggersi per una geisha nata trecento anni dopo. Dove Averroè e Confucio dialogano con Budda sull'essenza dell'universo.
Come riuscire a capirsi? E' un mercante di Venezia ad azzardare una mossa. Scioglie dai lacci il bagaglio, afferra una pezza che ha acquistato in un porto sperduto dell'India e la srotola in terra. E' un drappo azzurro solcato da candidi delfini, su cui punta il dito. Rivive così la lunga traversata che lo ha portato alle soglie di quest'altopiano di sassi e di sabbia. Poi indica un punto in cui la stoffa si increspa. E' l'onda che ha travolto lui e la sua nave al naufragio.
Gli altri sembrano comprendere quel linguaggio di segni e trame dipinte, cominciano a mostrare interesse e pietà. Si fa avanti un secondo mercante, stende un abito di broccato, dono del mandarino che lo ha ospitato e iniziato alla cerimonia del te. E poi un terzo, che si limita ad accarezzare una cicatrice sul collo e segnalare il fondo rosso porpora del tappeto acquistato a Bukhara : la ferita dei briganti che stavano per decapitarlo. Un quarto mostra lo stesso rosso ma si tocca il cuore: una ballerina che non dimenticherà più. Così per gran parte della notte. Rivivono avventure, evocano luoghi che hanno attraversato, meraviglie che li hanno incantati: le cupole di Istambul,le morbide tavolozze delle moschee di Isfahan e Samarcanda, i templi in rovina di Palmira ed Eliopoli, castelli arroccati su aspre colline che hanno cambiato più volte guarnigioni e bandiere, i padiglioni di lacca delle città proibite, i souk di Gerusalemme e Damasco.
Non so se questa notte di destini, fruscii e colori incrociati appartenga alla cronaca o alla leggenda. L'ho immaginata guardando da piccolo i campioni che mio padre, un mercante di seta anche lui, accarezzava sulla sua scrivania. E ho provato a fissarne il ricordo nei quadri di questa mostra."
Danilo Maestosi
Migrazioni
Che cos'è questa irrequietezza nevrotica, l'assillo che tormentava i greci? Girovagare soddisfa in parte, magari, la mia curiosità naturale e il mio impulso a esplorare, ma poi sono tirato indietro da un desiderio di casa. Ho una coazione a vagare e una coazione a tornare - un istinto di rimpatrio, come gli uccelli migratori (Bruce Chatwin, Lettera a Tom Maschia:, 24 febbraio 1969)
li viaggio, il ritorno. Sono i due estremi di quella condizione dell'uomo, priva di qualsiasi fondamento razionale, che Chatwin battezza l'alternativa nomade e che sembra caratterizzare i mondi paralleli di Danilo Maestosi: quello del vagabondo irrequieto, perennemente in fuga alla ricerca di altre strade, altri sguardi, altri orizzonti, e del pittore febbrile che tenta di fare del foglio nudo la stanza della memoria, fermando immagini e ricordi di quell'incanto in cui, sia pur per un solo attimo, ha abitato. Migrazioni dell'anima, non c'è tempo per la sosta ed il ritorno si fa anelito, ansia di librarsi in volo verso i paesi del sogno per immergersi nei mille rivoli di seduzioni non ancora provate. Curiosità, desiderio di conoscenza: l'altrove è una sirena tentatrice, da sfidare, peró, impu-nemente. E Maestosi lo fa, vestendo di volta in volta i panni dei suoi eroi, personaggi del mito che proietta, a mo' di metafora, nel contemporaneo. Basta un colore, un segno, un lieve, nascosto accenno di figurazione: ed ecco sfilare, scomposti e ricomposti con l'occhio della mente e del cuore, l'Icaro che precipita in un'esplosione impazzita di rossi e verdi, il Marco Polo intuibile da quella macchia di azzurro Tiepolo che è il marchio indiscusso di Venezia, l'Ulisse errabondo che prende il volto evanescente della ninfa Calypso e di quel mare d'ombre in cui pare affogare il suo dolore. Blu come coltre di cielo o di mare in cui avvolgersi aspettando la morte: è l'immaginifico sudario del Colapesce e della Didone in mostra alla Tartaruga, tappa intermedia tra la recente esposizione delle Mille e una seta al Vittoriano e la prossima avventura pittorica di Maestosi tutta ancora da comporre. Bidone è la transizione, il passaggio, la chiave di volta per nuovi, possibili approdi. Vertiginosi. Di cui si legge l'accenno di una mappa nel bruno impasto del catrame che delinea la cornice primitiva delle Galapagos o nel pannello giallo acceso che rievoca i palazzi d'oro del misterioso impero di prete Gianni, o ancora, negli sfondi lussureggianti delle foreste amazzoniche e in quelli dove il pennello modella onde in perenne movimento quasi ad evocare la furia dei venti del deserto. E poi, ancora, il vermiglio che cola sulla tela come fiume di sangue, quello innocente di Ifigenia sacrificata in nome del potere celato sotto la ragione di stato. Donne umiliate, schiave: lo stesso vermiglio accende le lanterne rosse delle cortigiane cinesi e si scioglie in lucidi rigagnoli nelle vasche del tintore. In fondo è questa la cifra inconfondibile di Danilo Maestosi che,come ha notato il critico Corrado Morra, ama filare e sfilare le trame del suo campionario di icone e di miti, lasciando comunque una traccia riconoscibile, un fìl rouge che conduce di ciclo in ciclo, di visione in visione verso gli infiniti paesaggi dello spirito. Lo è stato per la Grande mela di Grottesche, una New York sfigurata e contraddittoria, fonte di ispirazione per il meraviglioso Lunario, abbecedario del pallido satellite sotto forma poetica e pittorica. Di qui - anello di congiunzione il bivacco dei mercanti lungo le vie della seta - sono nate le magiche notti stellate di Sherazade, pronte ora a svanire e rinvenire intatte sotto mutate spoglie per suggellare l'ennesimo viaggio, l'ennesimo ritorno. Frammenti mescolati d'istanti, per dirla con Calvino. Separati da intervalli sempre più brevi. Così Maestosi costruisce il suo diario, traccia le coordinate oniriche di itinerari che si snodano al di fuori del tempo e dello spazio: un labirinto in cui perdersi, ubriacandosi nella follia dei colori, naufragando nei baratri indisciplinati della materia, ritrovando, infine, una via di fuga, un varco attraverso gli squarci di luce che si aprono, improvvisi e leggeri, come finestre sull'infinito.
Erminia Pellecchia
Il mercante di sogni
Gioco e passione, leggende e cultura alta, imbrattarsi di tinte ed affidare ai colori il compito di diventare forma e racconto: Danilo disegna da sempre ma a diffondere la sua arte nelle esposizioni che possiamo ammirare, lo hanno dovuto convincere. È avvenuto poco meno di dieci anni fa; da allora gli appuntamenti con il pubblico si sono fatti periodici ed il timore - per noi immotivato - di perdere, di esaurire la spinta a creare è andato via via scemando.
Perché Maestosi si rinnova, sperimenta materiali, aggiunge ricerche e tematiche, ha un desiderio di fare.
Da giornalista rigoroso, per lungo tempo impegnato quotidianamente con la parola scritta, la comunicazione verbale, ad un certo punto del suo percorso ha esplorato le connessioni tra testi ed arte figurativa. E allora che le sue opere hanno accolto grafie minute o dense, arabe ed orientali, che si sono fatte segno ed insieme simbolo capace di esprimere sentimenti ed emozioni, vicende e miti.
Decisivo il nuovo linguaggio per accompagnarci ad intra-prendere "la via della seta", in compagnia di mercanti e pellegrini, uomini di fede e guerrieri. Attraversiamo terre, sconosciute ai più, dense di fiabe e disseminate di solitudine; dove la luna, che erra ancora, sempre la stessa, tra quei confini, proietta i suoi raggi su quei sentieri ed illumina i notturni dell'artista, popolati di uomini che condividono e scambiano la memoria delle loro avventure.
E così che rivivono insieme Icaro e Sherazade, le fumerie di oppio, le terre del prete Gianni, e il Suk di Aleppo, mentre danzano quelle "lanterne rosse" rievocate in un film appena recente.
Affabulatore instancabile e insieme disincantato, Danilo Maestosi non tradisce "l'occhio in ascolto", così le sete più frusciami, i broccati sontuosi, e da ultimo lo shantung sfiammeggiante, insieme a tappeti sapientemente tessuti, sono il corredo per ambientare racconti di luoghi e genti, storie iniziate 3.000 anni fa di cui teatralmente propone nuove visioni. I racconti si dilatano ancora, come le inquadrature della sua pittura, su supporti di legno e cartoni sopra i quali dall'alto si piega ad applicare tinte e maschere per inciderne i contorni con spruzzate multicolori.
Da visioni racchiuse in una sorta di caleidoscopi rifrangenti, ormai diffonde con padronanza paste colorate e bitumi cerosi oltre limiti prima definiti, per tutta l'estensione del pannello.
Certi piani, in cui si possono scovare reminiscenze cubiste e futuriste, posti come quinte per dilatare e dare profondità al racconto, hanno lasciato il posto a strati di materia da scalfire, per raschiarne via tratti di superficie e scoprirne nuovi effetti: fibre seriche, filamenti, trame.
Simonetta Milazzo