|
|
|
|
|
|
|
9 - 18 maggio 2019. Plus Arte Puls - Viale G. Mazzini, 1 - Roma
|
|
"Amici!", declama Memezio, sollevando la coppa verso il centro della sala che
l'estrema luce del tramonto rischiara, scivolando dorata fra le volte dell'architrave,
"vigorosi fratelli di guerra e di caccia, fortunati compagni di questo simposio,
celebriamo dunque la generosità del nostro ospite Astreo, che ci ha chiamati a
onorare Ofione, primo e diletto figlio maschio, il tesoro più grande della sua nobile e
opulenta casa". Finito di parlare, ingolla a grandi sorsi il generoso vino di Apulia,
mentre già gli schiavi accendono le nuove torce lucide di grasso, per appenderle alle
pareti. Sentitosi chiamare, Astreo alza la testa. Ha il volto disfatto dal vino e dalla
fatica, le gambe enfiate, dolenti, indifferenti alle cure delle schiave, ai loro misteriosi
unguenti. Persino masticare lo sfianca, il respiro gli rotola nel petto come un
macigno, ed è costretto a dormire seduto, per ingannare la notte. Eppure sorride,
vedendo suo figlio abbracciato a Filete, al bagliore dei primi fuochi. L'ha chiesto lui,
al suo favorito, di educarlo al piacere, di farlo diventare uomo, e l'egiziano ci sta
mettendo dell'impegno, da sembrarne quasi preso, e che sia pure così. Da troppo non
lo riceve nel suo letto, e se dev'essere un altro a goderne, che sia Ofione. Turbato da
questi pensieri, si rivolge a chi ha voluto celebrare la sua casa.
"Vecchio Memezio, mio saggio e fedele compagno di vita, il tempo si consuma in
fretta, fra poco la nostra torcia si spegnerà, e non ci sarà nessuno schiavo, pronto a
portarne una nuova per noi. Perciò chiedo a te, che da sempre coltivi il sapere, se è
vero quanto si dice sull'Ade, che le anime vaghino in eterno nel buio, insensibili al
piacere e al dolore, al tempo e alla memoria, o se invece, come affermano altri, la
luce risplenderà per i giusti su questa terra, e gli empi saranno scaraventati nel
profondo del Tartaro".
"Osserva tuo figlio Ofione", replica Memezio, lisciandosi la barba, "fra le dolci
braccia di Filete. Non ci sente, lo assorda il piacere, e la certezza che questo momento
durerà per sempre. Il suo corpo è perfetto, lucido d'olio, ogni pelo rasato dai tuoi
schiavi, le carezze di Filete gli scivolano lievi sulla pelle, dense di promesse. Non
conosce il tempo, Ofione, non lo ricorda ancora. Eppure Chronos è paziente, lo è
stato con tutti, anche con noi, come sappiamo. Eravamo ciechi e sordi, allora, come
lui ora. Mi addolora vedere che temi Thànatos, dolce amico, ma sbagli, non sarà colui
che governa la morte, a segnare il nostro destino. A Mnemòsine, piuttosto, alla
crudele figlia di Urano e alla sua clemenza, sarà meglio dedicare sacrifici. Perché
nessuna anima sopravvive senza ricordi, questo ora so. Cosa me ne farei dell'eternità,
sia essa luminosa e ricca, quanto oscura e indifferente, senza l'immagine di quella
mattina, di quando nudi e incoscienti ci affacciammo allo scoglio di Epòmeo, e tu ti
tuffasti in acqua, e da lì mi urlasti di non avere paura, di sfidare il vuoto, come avevi
fatto tu. Io ti amavo e ubbidii, mi fidavo di te, e feci bene, quel breve volo ha
illuminato la mia intera vita. E così dimmi, generoso Astreo, se dimenticassi tutto
questo, cosa potrei farmene dell'eternità?".
"Le tue sagge parole, Memezio, donano pace al mio cuore, e soffocano il timore
della morte. Ricordo anch'io la calda mattina, l'amore che ci univa allora, rivedo
tutto come fosse adesso, e ne sono felice. Concedi, dunque, vecchio, che porti con me
nella terra, quando il momento sarà giunto, l'immagine di te che vidi, in attesa fra le
onde. Potrò così ammirarti in eterno, nel pieno di quel volo che tanto bene hai
narrato, e che pura gioia donò alla nostra giovinezza. Non temerò il buio, allora, e
nemmeno ambirò alla luce, basterà la memoria di un sogno, a nutrire la mia anima
per sempre".
Claudio Coletta
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
LA DIVERSITÀ APRE CREPE NEI MURI
|
|
|
|
|
|
|
MEMORIE SU UN PIANO INCLINATO
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|